Tari: le utenze stagionali pagano tutto l’anno
La Suprema Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 22756 del 9 Novembre 2016, esprime un importante concetto ai fini dell’applicazione della Tassa sui Rifiuti urbani ed assimilati alle utenze stagionali.
La Sentenza riguarda in realtà un’annualità (2004) per la quale vigeva l’applicazione della TARSU ai sensi e secondo le modalità di cui al D.Lgs. 507/93 ma i presupposti impositivi e le conseguenti riflessioni sono perfettamente applicabili anche alla TARI di cui all’art. 1, commi 639 e seguenti della L. 147/2013.
In particolare la Suprema Corte afferma con una sentenza ben motivata che l’apertura stagionale di una struttura alberghiera, dotata di licenza annuale e suscettibile di produrre rifiuto durante tutto l’anno, anche per fini personali del gestore medesimo, non determina il venir meno dei presupposti impositivi della tassa sui rifiuti per l’intero anno solare (anche se in seguito a comunicazione di chiusura invernale al competente Ente), fondati appunto sulla semplice disponibilità di aree e locali ed esclusa soltanto provando una assoluta, concreta, impossibilità di utilizzo.
Così ha deciso la suprema Corte accogliendo il ricorso di un Comune Campano a forte vocazione turistica avverso la decisione di appello della CTR, sancendo che gli alberghi stagionali, anche se non utilizzati per parte dell’anno, devono versare integralmente la tassa sui rifiuti, non verificandosi una obiettiva e assoluta inutilizzabilità dei locali, come prescritto dalla norma.
Si ricorda che secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 641 della L. 147/2013, il presupposto della TARI è il possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali ed aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani. Sono escluse dalla tassazione soltanto le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, non operative, le aree comuni condominiali che non siano detenute o occupate in via esclusiva.
La suscettibilità di produrre rifiuti urbani e assimilati viene generalmente data dalla presenza di utenze (elettriche, acqua o gas) attive e dalla presenza di mobilio; in caso di utenze non domestiche, come in questo caso specifico, la suscettibilità può essere integrata dalla presenza o meno di titoli autorizzativi necessari all’attività esercitabile nei locali stessi.
Ciò significa che la mera detenzione di locali ed aree operative suscettibili di produrre rifiuti urbani e assimilati fa scattare l’obbligo dichiarativo ai fini TARI e conseguente assoggettamento all’imposta per tutto il periodo di detenzione dell’immobile.
La Tassa non è dovuta soltanto qualora nei locali si formino, in via continuativa e prevalente rifiuti speciali non assimilabili, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori.
La disciplina di cui all’art. 1 commi 639 e seguenti in materia di TARI è di fatto più stringente rispetto al D.lgs. 507/93 poiché mentre per la TARSU (507/93) era espressamente previsto che qualora i locali ed aree per la loro particolare natura o il particolare uso cui erano stabilmente destinati (o perché risultavano in obiettive condizioni di non utilizzabilità) non producessero rifiuti erano esclusi dall’ambito impositivo, per la TARI tale esclusione non è più prevista.
La suscettibilità di produrre rifiuto urbano o assimilato è sufficiente a creare il presupposto impositivo, anche se molti Regolamenti Comunali per la gestione e applicazione della TARI ancora oggi prevedono casi di oggettiva inutilizzabilità dei locali.
La Quinta Sezione della Cassazione con la citata sentenza n. 22756/2016 ribadisce tra l’altro che le ipotesi di inutilizzabilità oggettiva con conseguente esclusione dall’imposizione non operano mai in modo automatico poiché la normativa ha comunque introdotto una vera e propria “presunzione iuris tantum di produttività” di rifiuti, superabile dal contribuente che abbia la disponibilità dell’area o dei locali esclusivamente fornendo la prova contraria, con la comunicazione delle particolari circostanze idonee ad escludere la produttività di rifiuti e la relativa tassabilità, attraverso la denuncia originaria o di variazione, comunque soggette ad opportuni riscontri obiettivi, rilevabili dall’amministrazione o in seguito ad idonea documentazione.
Pertanto il mancato utilizzo dei locali di un’attività alberghiera per l’intero anno in quanto legata al flusso stagionale turistico non è comunque circostanza idonea e sufficiente ad escludere l’imposizione dei locali per i mesi di mancato utilizzo.
L’imposta risulta comunque dovuta laddove i locali rimangano suscettibili di produrre rifiuto, anche per uso personale del gestore, indipendentemente da una eventuale comunicazione di chiusura invernale trasmessa ai competenti uffici comunali.
Si precisa che ai fini TARI, poiché la tariffa deve coprire anche i costi fissi, amministrativi e gestionali, sostenuti anche nei periodi di mancato utilizzo del servizio, tali considerazioni sono maggiormente sostenibili e giustificate.
Non bisogna tuttavia dimenticare che per quanto riguarda i locali diversi dalle abitazioni e le aree scoperte operative adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo ma ricorrente, il comma 659 dell’art. 1 della L. 147/2013 prevede che il Comune possa comunque deliberare una riduzione tariffaria pari ad un massimo del 30% della tariffa deliberata per la fattispecie corrispondente.
Tale riduzione tariffaria, supportata da una licenza a carattere stagionale rilasciata dal competente ufficio Comunale, permetterebbe, qualora richiesta dal contribuente, di godere di una riduzione tariffaria applicata all’intera annualità che possa riconoscere al detentore dei locali un’agevolazione per il fatto che durante un periodo dell’anno i locali e le relative aree scoperte operative non vengono utilizzate attivamente e conseguentemente producono meno rifiuti rispetto ad un’analoga attività aperta tutto l’anno.